Vi invito a partecipare in questo particolare viaggio verso la Sicilia. Non voglio sedurre nessuno con le lunghe descrizioni, con le belle foto, tanto meno con l’ottimo vino o cucina regionale. Ne troverete abbastanza sulla rete. In compenso propongo una gita letteraria. Ho invitato a parlare con me un eminente traduttore della letteratura italiana, il quale aveva tradotto fra l’altro Calasso, d’Annunzio, Leopardi, Lampedusa e Camilleri. Stanisław Kasprzysiak, perchè si tratta proprio di lui, ha vinto numerosi premi, tra i quali il premio dal governo della Repubblica Italiana, ovvero il „Premio Nazionale Traduzioni” 2002 e la medaglia „Stella della Solidarietà italiana” 2004 per i meriti per la cultura tricolore. Oggi ci parlerà degli accenti siciliani nel suo lavoro di traduttore, quindi del commissario Montalbano e di uno dei classici romanzi italiani, ossia di „Gattopardo” di Lampedusa.
Privatamente Stanisław Kaspryzsiak è mio nonno, dunque non rimanete stupiti del carattere informale di questa conversazione.
I. Il caso di Camilleri.
S.K. È vero, Cara Dottoressa, scrivevano proprio così, infatti così era e così è. Il caso, l’avvenimento raro, l’evento straordinario nel mondo della letteratura italiana, una sorpresa. Perchè? Poichè Andrea Camillieri, nato nel 1925 in Sicilia, regista televisivo, professore dell’Accademia nazionale d’arte drammatica a Roma, ha iniziato a scrivere mentre aveva 53 anni. Il primo romanzo – „Il corso delle cose” – e’ stato pubblicato nel 1978. Scriveva molto, soprattutto romanzi storici ambientati in Sicilia, ma il successo non arrivava. Fu cosi per 16 anni. Solo il primo romanzo poliziesco – „La forma dell’acqua” – pubblicato nel 1992, dove il commissario Montalbano conduceva un’indagine ambientata a Vigata, un paese immaginario siciliano che ha radicalmente cambiato la situazione. Questa si che era una sorpresa. Il successo inaspettato, non strappato dai lettori con le preghiere, ma appunto meritato.
La Sicilia disegnata da Camilleri incuriosisce con la sua diversità invariabile, con la famosa „isolanità”. Invece il commissario Montalbano è una persona come si deve, un uomo acuto, brillante, perspicace e ironico ma nello stesso momento scrupoloso, saggio, sensibile, coraggioso, onesto, comprensivo, giusto e disilluso. Sarebbe da augurare a ogni signorina, non solo siciliana ma anche polacca, di incontrare un uomo come lui. Anche se è un tipo molto solitario, perso, scettico e malinconico, tuttavia Salvo Montalbano si cattura la simpatia della gente con il suo charme incomprensibile ma nello stesso momento irresistibile.
Una curiosità, un caso in più, la terza ormai sorpresa, sarebbe la personalità dell’attore Luca Zingaretti che dal 1994 ha preso la responsabilità di interpretare il commissario nei successivi film. Camilleri ha preso la vera rincorsa. Fino a oggi ha pubblicato circa 20 romanzi e più di 100 racconti con il commissario Montalbano come protagonista. Sono stati girati anche 18 film. Un altro caso particolare: pur essendo stati pensati per un ampio pubblico, sia i libri, che i film di Montalbano hanno tanto valore. Sono pregiati anche perchè non prendono spunto dalla letteratura di alto valore, ma soprattutto perchè non imitano in modo veristico la vita quotidiana e nemmeno le grezze indagini poliziesche. Non ci sono i „veri” assassinati, mancano il sangue, i cadaveri, le sparatorie: tutto questo succede tra parentesi, in modo convenzionale, il che è molto raro per i gialli. Leggere Camilleri è come giocare a scacchi insieme al commissario. Ovviamente vince lui che scopre la verità in modo più efficace.
II. Quale tra i libri di Camilleri è stato più difficile da tradurre?
S.K. Ne ho tradotti pochi: due romanzi e due raccolte dei racconti. Il più difficile – un altro paradosso Cara Dottoressa – è stato un libro malriuscito. Mi si stava seccando tra le mani come una pianta messa nella terra sterile, non voleva per niente riprendersi. Sto parlando della traduzione de „La pazienza del ragno” inedita nel 2010. In questo romanzo non accade un vero delitto, non succede nulla di interessante. Fu rapita una ragazza, ma solo dopo poche pagine si seppe che scomparve da sola per la resa dei conti in famiglia. L’indagine fu per forza noiosa, sbiadita, banale. Cosa può fare il traduttore? Pochissimo. Non può cambiare neanche una frase per renderla più interessante. Invece può dare la vita a ogni singola frase, può aumentare le espressioni colloquiali contenuti nei dialoghi, li può colorare e renderli più profondi grazie alla scelta di parole giuste. Per ottenere questo risultato ho dovuto selezionare e pesare le parole. Così, per necessità, il lavoro e’ durato di più ed era appunto più difficile.
III. Come mantenere la „sicilianità” traducendo in polacco il dialetto siciliano?
S.K. La lingua scelta, o meglio inventata da Camilleri per i suoi romanzi ambientati in Sicilia non è un dialetto siciliano. È il dialetto di Vigata, la creazione artificiale, nata nell’immagine dello scrittore. È una miscela degli italianismi con i „sicilianismi”. La lingua formata in modo tale da sembrare la varietà siciliana della lingua italiana ma non tanto lontana dall’italiano. Dicendo in modo più semplice, una lingua facile da comprendere per ogni italiano. Quindi, è piuttosto italiano invece che un insieme di greco-fenico-cartaginese con la lingua dei normanni, dei Borboni, infine dei siciliani.
Questo dialetto, ideato da Camilleri e usato nei suoi libri, viene parlato da Montalbano e dagli altri siciliani, ma già i magistrati che vengono a Vigata da Roma parlano un italiano coretto. Proprio qui sta il punto essenziale che deve affrontare il traduttore. Non è possibile applicare un bilinguismo simile nella versione polacca, in quanto sarebbe necessario usare, a parte il polacco, anche qualche dialetto locale. Una cosa impensabile. Il casciubo, il montanaro, il nostalgico dialetto di Leopoli in Sicilia? Decisamente no. Mi è rimasta una soluzione modesta, non tanto espressiva ma l’unica possibile: ho deciso di dotare „il siciliano” di Camilleri dei più possibili colloquialismi, mentre ai magistrati italiani lasciare la correttezza retorica. Tutto sommato ho dovuto essere comprensibile con me stesso: con dispiacere, non mi posso illudere con questo, Dottoressa.
IV. Quale libro di Montalbano preferisci?
S.K. Come se avessi indovinato: qualcosa dei libri di Camilleri mi è simpatico. Non è un romanzo ma un racconto: „Una faccenda delicata”. Tratta di un argomento davvero delicato: Montalbano deve interrogare una bambina di nome Anna di soli cinque anni. I fatti nascondono la verità indiscutibile, limpida come l’ acqua di un torrente, ma per il momento quest’acqua è torbida. L’acqua non ha la forma, Camilleri lo dice chiaramente a partire dal suo primo romanzo „La forma dell’acqua”. Bisogna quindi con quest’acqua (la verità) riempire un giusto recipiente e sarà appunto lui a darle la forma. „Cerchiamo la verità” – dice Montalbano, non gli resta altro. Solo che non sa come iniziare a indagare. Qualcosa è andato male tra la mamma di Anna e il maestro a scuola materna, la mamma lo accusa di corteggiare Anna: le passa il capotto, le lava il viso. La mamma spesso dorme insieme ad Anna dalla suocera e il maestro abita al piano di sopra. E quindi? Forse sotto c’è qualcosa. Ma come tirarlo fuori dalla ragazza, come farla parlare? Risulta che la bambina sa introdurre meglio il discorso e chiede al commissario „- Tu chi sei?”. Da quel momento l’interrogatorio va liscio verso la buona fine.
Dopo aver ripensato, ti posso dire che mi piace anche il romanzo „Il sorriso di Angelica”. Camilleri puntava alto: voleva che una precisa ragazza fosse come „la bellissima Angelica” de „Orlando Furioso” di Ariosto. L’ha quindi dotata di bellezza, di grazia e di splendore irradiante. Eravamo pronti a crederci, anche se le storie simili non succedono nella vita reale. Quindi dubitavamo. Probabilmente così come Orlando di Ariosto si è perso dentro il palazzo incantato mentre cercava Angelica, anche il nostro autore si è perso nella propria visione. Questo perdersi è uscito fuori ma solamente durante la realizzazione del film girato secondo il romanzo, dove l’attrice, scelta con grande meticolosità era ben lontana dalla splendida Angelica di Ariosto. Tuttavia l’illusione di quello splendore raccontato in „Il sorriso” poteva rimanere simpatico.
V. Perché „Leopardo” diventa „Gattopardo”?
(In Polonia esistono due traduzioni del romanzo di Lampedusa: „Lampart” tradotto da Zofia Ernstowa e pubblicato nel 1962 e „Gepard” tradotto da Stanisław Kasprzysiak, pubblicato nel 2009).
S.K. È successo così, Cara Dottoressa, perché nel titolo originale appare il gattopardo e non il leopardo. In altre parole, gli animali non sono tutti pari e sopratutto gli animali araldici. Dall’altro canto, anche gli uomini non sono tutti pari, dunque Don Giuseppe Tomasi di Lampedusa poteva solo travestirsi da Don Fabrizio Salina di Montechiaro ma non poteva diventarlo. Valutiamo la questione con calma. Se il conte Tomasi dotasse il conte Salina del proprio stemma con il leopardo sopra lo scudo, sarebbe così come se volesse vantarsi. Invece lui stesso scherniva una presunzione simile, come lo facevano i contadini presso i suoi feudi. Apprezzava quel senso d’ironia contadina poiché era proprio una sfaccettatura che riconosceva dentro di sé. I contadini chiamavano il leopardo che vedevano negli stemmi presenti dappertutto „gattupardu” e non „leopardo” e lo facevano con una leggera cattiveria. Nessun gattopardo è mai stato inserito sullo scudo araldico. Così l’autore scelse per il suo romanzo, a partire dal titolo, il tono indulgente e ironico. Da allora solo i traduttori credevano di sapere meglio. Loro sostituivano „gattopardo” con „leopardo”. Questo è successo nella versione inglese, tedesca, russa, portoghese, svedese e ovviamente nella versione polacca. Bisognava quindi affrontare la questione e correggere la sconsideratezza. Non era invece necessario cambiare la traduzione francese, spagnola e lettone in quanto „Gattopardo” era presente nel titolo fin dall’inizio.
VI. L’atmosfera della Sicilia feudale e’ sopravvissuta? È possibile coglierla ancora oggi, visitando l’isola?
Ritrovare la vecchia Sicilia con le aristocrazie e le tenute risalenti ai tempi pregaribaldiani, ai tempi del Regno di Sardegna rimane, Cara Dottoressa, piuttosto difficile. Non è poi così male. Grazie a questo si può, forse, più facilmente recuperare la Sicilia antica o addirittura arcaica. È possibile cogliere la sua civiltà isolana apportata dalle continue conquiste e cioè dai Greci, Fenici, Normanni, Spagnoli, si può recuperare il suo passato ormai morto ma splendido. In ogni angolo puoi incontrare il clima estivo ricco di terribile afa, il paesaggio devastato dal calore, la vegetazione sbiadita, il mare infinito. L’aura del atavico-malinconica particolarità dei siciliani è dovuta soprattutto a tutto ciò. Puoi notare in loro commedianti che drammatizzano, che recitano sul palco della vita la propria tragicommedia. Forse è vero, forse la gran parte di loro prova la rassegnazione fatalistica con il destino scritto dai secoli, tuttavia sarebbe necessario stare tra di loro per un bel po’ per poter decidere di persona, quindi scegliere verosimilmente come vanno le cose. Tanto che anche noi stessi, non isolani, abbiamo fatto la pace con il destino in una maniera simile.
Sono stato in Sicilia due volte per alcuni giorni, dunque, posso confidarti qualche mia impressione personale. I resti dei secoli feudali saltavano all’occhio: molti si sono trasformati in rovine, come per esempio il palazzo di Lampedusa a Palermo, bombardato dagli alianti oppure la residenza estiva della sua famiglia a Santa Margherita di Belice, ubicato nel romanzo a Donnafugata, abbattuto da un terremoto non tanto lontano nel tempo. L’atmosfera dei grandi alberghi internazionali di Taormina si è conservata quasi invariabile. Nella piazza centrale di Enna si può vedere tutt’oggi un teatro di burattini con le vicende di Orlando, Ruggiero e Angelica o di Armida e Tancredi. Invece la valle presso Enna appare come una realtà non arcaica ma piuttosto mitica, soprattutto in primavera con dei prati chilometrici dove fioriscono i giacinti, le viole, gli anemoni e con il profumo di liquirizia. Nella nostra memoria la valle si lega subito con il ratto di Persefona. I templi greci presso Agrigento, i mosaici pavimentali della villa in Piazza Armerina, le casematte rocciose a Siracusa, il tempio solitario di Segesta privo di tetto – niente di più, niente di meno, eventualmente solo di più – tutto questo rimane eterno e unico. Infine l’Etna con il suo freddo intransigente che si mantiene in cima persino in un estate calorosa, con la lava che scende quasi sempre e con il ricordo di Empedocle, antico sapiente siciliano, che nella lava finì la propria esistenza. Insegnò che all’inizio della vita si poteva scegliere la strada verso il giorno o verso la notte. Lui stesso scelse la strada del giorno, apparentemente meno misteriosa, ciononostante si gettò nella lava rovente. Un segreto. Appunto, questo segreto rimane essenziale per capire la diversità dei siciliani. Molte volte lo si faceva presente in Sicilia, si è conservato nel modo più forte nella memoria. Ha assunto la forma futile, la forma di sfere della lava vulcanica create grazie al continuo flusso del mare lungo le coste catanesi. Si prendeva in mano questa grande, nera e porosa sfera e teoricamente si sapeva cosa fosse. In realtà non si sapeva nulla.
Se sognate la Sicilia meravigliosa, vi invito a leggere almeno uno dei libri scritti dagli autori sopracitati.
Buona lettura,
Ania.
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